mercoledì 26 novembre 2008

Le interpretazione di G. C. Vanini

AA. VV.
Le interpretazione di G. C. Vanini
(a cura di Giovanni Papuli)
Congedo Editore, Galatina, 1975

È possibile dare un volto al Vanini, fissare i tratti del suo pensiero, penetrare oltre la disperante ambiguità del dettato delle sue opere?
La risposta a questa domanda è affidata a quattro testi altamente specialistici, comparsi fra il 1950 e il 1970 in Italia, in Francia e in Polonia. Essi ci consentono di costruire delle prospettive molto diverse fra loro, eppure non del tutto estranee l’una all’altra:
almeno nel senso che convergono nel sottolineare come gli studi vaniniani non concedano piil nessuno spazio alle fastidiose polemiche che li hanno avvelenati in passato e si sviluppino, ormai, soltanto al livello di ben meditate proposte interpretative.
Nell’ambito ditali propoate, quella di GiorgioGIO SPINI coglie il Vanini nella mediocrità della sua statura speculativa ma anche nella complessità dei rapporti che lo legano alla profonda crisi etico -religiosa che è propria della sua età e della quale egli è vittima e, ad un tempo, intacitabile portavoce; quella di ANToNIo CORSANO lo considera, alla luce della riscoperta coerenza che pur sussiste fra la sua vicenda speculativa e la sua vicenda biografica, come una delle più originali espressioni della disponibilità del pensiero del tardo Rinascimento ad aprirsi, con tutte le sue irrequietezze, alla tematica dell’incipiente 1i bertinisme; quella di EMILE NAMER lo ritrae nell’impegno, squisitamente umanistico, di edificare, con tutti i materiali che gli offre la cultura del suo tempo, una nuova antropologia; quella di ANDRZEJ Nowicki lo prospetta, di là dalla sua incontenibile ribellione contro ogni forma di oppressione del passato e del presente, come il teorizzatore di un’assiologia già valida per un’assai avanzata utopia sociale.
Si tratta di interpretazioni la cui fecondità risalta pienamente se esse son tenute presenti sullo sfondo di tutto lo sviluppo della ‘fortuna’ del Vanini, della quale segnano indubbiamente una svolta: di quella ‘fortuna’ che, cosi com’è ricostruita da GIOVANNI PAPULI, mostra di essere già passata per le significative tappe delle figurazioni dell’ateo esemplare e del perfetto credente, del pazzo, dell’infame e dell’eroe, del generoso precursore e del consumato plagiario, lasciandosele, ormai, definitivamente alle spalle.
Dal risvolto di copertina

Libri che risorgono

Non solo lo storico del pensiero, ma praticamente ogni uomo di cultura ha il potere di far risorgere i morti. Quando vado in biblioteca e fra tanti libri scelgo e comincio a leggerne uno, sto risuscitando un morto e il mio spirito diviene il luogo dove lui è presente.
Ora, esistono almeno tre diverse forme di questa presenza postuma del pensatore; e il problema non sta nel risuscitare i morti, ma nel come farlo.
In primo luogo il pensatore può essere presente nella nostra coscienza come oggetto. Abbiamo conosciuto i suoi pensieri; essi sono in un certo modo fissati nella nostra memoria; possiamo riferire questi pensieri ad un altro. È una presenza passiva e immobile.
Il pensatore, anche se morto molti secoli fa, può essere presente nella cultura non solo come oggetto, bensì anche come sog getto, quando trova dei seguaci, i quali non solo ricordino i suoi pensieri, ma anche li accolgano come proprie convinzioni e adoperino i suoi strumenti concettuali per il proprio pensare. In tale modo il pensatore morto si trasforma in soggetto della loro attività intellettuale e sopravvive nella loro visione del mondo.
Ma tale sopravvivenza ha un lato deteriore perché toglie ai seguaci la loro autonomia. E poi esiste il pericolo che il pensatore — essendo, per qualche tempo una potente leva del progresso intellettuale — possa lentamente trasformarsi in un ostacolo, in un freno che impedisce il sorgere del ‘nuovo’. Ricorrendo ad un famoso detto di Carlo Marx possiamo asserire che in tale caso « le mort saisit le vif », cioè il seguace diviene lo schiavo del morto e perde la propria personalità sotto il peso della ‘perfezione’ del maestro.
Nella stessa prefazione del Capitale, dalla quale abbiamo citato il detto, Marx ha precisato quali lettori vuole avere. Lontano dalla presunzione di costruire un sistema assoluto, che una volta per sempre risolva tutti i problemi e così ‘liberi’ ‘ tutti i posteri dal pensare, egli, al contrario, dichiara che indirizza la sua opera a lettori i quali « vogliono pensare anche loro ».
E così abbiamo scoperto il terzo modo della presenza del pensatore morto tra i vivi. Non come oggetto e non come soggetto del nostro pensare, ma come amico e compagno delle nostre lotte e dei nostri lavori. Possedendo il meraviglioso potere di far risorgere i morti, dobbiamo risuscitarli organizzando la loro attiva partecipazione alla nostra attività creatrice. Adoperando una bella espressione di Aldo Capitini (1899-1968), possiamo parlare di una vera « compresenza dei vivi e dei morti ».

AA. VV. (a cura di Giovanni Papuli)
Le Interpretazione di G. C. Vanini
Congedo Editore, Galatina, 1975
pag. 315-316

Lourdes ovvero il ciclo francese

Lourdes ovvero il ciclo francese

« Si era anzitutto colpiti dalla costituzione fisica della fanciulla, gracile e rachitica, e dalla sua fisionomia idiota; non ampia la fronte, con forte inclinazione all’indietro. Dopo aver proceduto all’auscultazione, riscontrai rantoli sibilanti ed i segni di una malattia organica del cuore. La rividi l’indomani, col direttore della Scuola d’Agricoltura di Lourdes, riscontrai nella ragazza manifestazioni di dispnea, vi erano i sintomi di costituzione apoplettica con indebolimento delle facoltà intellettuali ». Questo non è il quadro clinico di una qualsiasi povera infelice capitata a Lourdes in cerca di guarigione, ma il referto medico ufficiale stilato all’indomani delle « apparizioni » di Lourdes sullo stato psico-fisico di Bernadette Soubirous, la bambina tubercolotica, asmatica e, come abbiamo visto, idiota, sulle cui affermazioni si basa l’intera impalcatura che regge da un secolo la più funzionale industria del miracolo che sia mai stata impiantata sul nostro pianeta. Il referto fu stilato nel 1858 dal dottor Delmas di Roquecourbe, unitamente al Presidente del Consiglio Generale degli Alti Pirenei. Qualche anno dopo un altro medico, il dottor Augusto Voisin affermò:
« Il miracolo di Lourdes è stato affermato sulla testimonianza di una bambina che soffriva di allucinazioni ».
Ecco, queste sono le basi da cui necessariamente occorre partire per trattare il « fenomeno » Lourdes. Ormai sull’argomento sono stati scritti circa 4 mila libri.

Giuseppe De Lutiis, L’industria del santino, Anno santo ’75 ovvero la Fede nel Profitto, Guaraldi, Rimini, 1973.Pagina 51

“Augusta miseria”. Aspetti delle finanze pontificie nell’età del capitalismo

Carlo Crocella
“Augusta miseria”. Aspetti delle finanze pontificie nell’età del capitalismo
Nuovo Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1982

In questo volume si affronta un argomento che ha interessato gli storici e attirato in pari tempo l’attenzione dell’opinione pubblica. Il problema delle finanze pontificie si pose in modo drammatico sin dalla prima metà dell’Ottocento e divenne ancora più grave dopo che lo Stato della Chiesa perse, nel 1859-60, le sue regioni più ricche. Al problema della sopravvivenza dello stato si aggiunse allora quello ben più grave di trovare risorse per far fronte al governo della chiesa universale. A parte taluni espedienti monetari del cardinal Antonelli,si ricorse per lo più a prestiti internazionali. Banchieri, finanzieri, capitalisti “cattolici” talora spregiudicati come il belga Langrand-Dumonceau - finito in bancarotta nel 1870 e sottrattosi con una fuga ad una dura condanna - avanzarono iniziative e proposte per una istituzione o organizzazione finanziaria cattolica a servizio del papa. Ma il soccorso alla Santa Sede non giunse dai grandi capitalisti, quanto piuttosto dai fedeli di tutto il mondo che diedero vita a una colletta, prima spontanea, poi via via sempre più organizzata, che fu l’Obolo di San Pietro. Gli umili credenti non pensavano a far prestiti; preferivano donare al pontefice, perché egli potesse rispondere liberamente alla domanda religiosa che saliva dal basso e conservare la chiesa in decoro-sa povertà.
caduta Roma nel 1870 le risorse dell’Obolo cominciarono ad eccedere i bisogni e le spese della Curia romana. Nacque allora il problema di come investire il sovrappiù. E fu così che la Chiesa si ritrovò impigliata in quel mondo capitalista che in linea di principio non aveva mai potuto accettare, e in un giro di banche, banchieri e affaristi pronti a strumentalizzare anche i più alti valori religiosi.


Indice del volume. Presentazione di Giancarlo Mazzocchi. Premessa. 1. La crisi finanziaria dello stato pontificio dopo la Restaurazione. 2. Le proposte dei capitalisti cattolici per la ripresa economica dello stato della Chiesa. 3. La politica monetaria del cardinal Antonelli. 4. L’Obolo di san Pietro. 5. Venti Settembre: una sconfitta vantaggiosa. Alcuni interrogativi.

Dalla quarta di copertina.

L’idea laica nell’Italia contemporanea.

Tina Tomasi
L’idea laica nell’Italia contemporanea.
La Nuova Italia, Firenze, 1971
Dal dibattito tra Chiesa e Stato nell’italia preunitaria al laicismo della destra storica, dai bilancio politico delle associazioni operaie e delle leghe per l’insegnamento popolare al riformismo dell’età positivista, dalla crisi giolittiana alla controffensiva spiritualista, dalla fioritura dell’idealismo alla critica pedagogica d’ispirazione marxista, dall’eclissi dell’idea laica nel periodo fascista alla gestione democristiana del ministero della P.I., dal cattolicesimo postconciliare alla « nuova risposta » laica: una storia del pensiero educativo e della politica scolastica nella prospettiva del conflitto tra le forze sociali e culturali che ha costituito la storia d’italia nell’ultimo secolo.
Dalla quarta di copertina

Venti settembre: una sconfitta vantaggiosa

Venti settembre: una sconfitta vantaggiosa

Il governo italiano rinuncia ad avanzare pretese sulle somme dell’obolo giacenti nell’Erario pontificio

La successione del governo italiano a quello della Santa Sede in seguito alla conquista militare della città di Roma presenta caratteristiche del tutto peculiari rispetto ad altri fatti analoghi. Infatti il governo italiano non sostituisce la Santa Sede in tutti i rapporti giuridici di cui essa è titolare, ma solo in una parte di essi, e precisamente in quelli relativi all’esercizio del potere politico sullo Stato conquistato. Per quanto riguarda invece l’esercizio del potere supremo negli affari della chiesa universale, il governo italiano proclama di voler rispettare la piena indipendenza della Santa Sede.
Il principio, chiaro teoricamente, porta a una serie di contestazioni quando si tratta di applicano nella pratica. Quali edifici in Roma erano di proprietà del papa in quanto capo dello stato e quali invece erano di sua proprietà in quanto capo della chiesa? Su quali istituzioni l’autorità della Santa Sede era esercitata in quanto autorità della chiesa e su quali invece in quanto autorità dello stato? Infine, quale parte dei mezzi finanziari rinvenuti dalle autorità italiane nelle pubbliche casse era da considerarsi appartenente all’amministrazione civile e quale invece riguardava l’amministrazione ecclesiastica? Specialmente quest’ultima questione non era di facile soluzione, qualora si consideri la promiscuità quasi sempre esistita nello Stato pontificio tra l’amministrazione civile e quella ecclesiastica, sia per quanto riguardava le spese che per quanto riguardava le entrate..


In particolare l’obolo di san Pietro offriva il destro a contestazioni per più motivi. Sostanzialmente si trattava di due questioni:
1) Il papa, ricevute dai fedeli le offerte per l’obolo, le versava all’erario dello stato pontificio. Perciò quando gli italiani subentrarono alla precedente autorità di governo, sorse il problema di stabilire se le somme dell’obolo contabilizzate nell’erario fossero da considerare già versate dal papa allo stato, oppure solo “depositate”, e quindi sempre in proprietà del papa, che le aveva ricevute innegabilmente come capo della chiesa. 2) Il governo italiano occupando Roma naturalmente assumeva su di sè il debito pubblico dello Stato pontificio. Tale debito era garantito però anche sull’obolo di san Pietro. Sorgeva dunque il problema se si dovesse continuare a usare le somme dell’obolo per pagare i titoli del debito pubblico.
Le questioni erano gravi, ma non potevano avere che una sola soluzione: dopo il 20 settembre l’obolo di san Pietro doveva considerarsi come entrata esclusivamente ecclesiastica, a piena disposizione del santo padre (…)


Carlo Procella, “Augusta miseria”, Aspetti delle finanze pontificie nell’età del capitalismo
Nuovo Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1982, pagne 155-156.

Ossa senza pace. Storia delle reliquie, sacre e profane, dall’antichità ai giorni nostri: come furono trovate, custodite, disputate,comprate e vendute

James Bentley
Ossa senza pace
Storia delle reliquie, sacre e profane, dall’antichità ai giorni nostri: come furono trovate, custodite, disputate, comprate e vendute, frammentate e moltiplicate…
Sugarco Edizioni, Milano, 1985

Anche se al tempo di Cristo venire a contatto con un cadavere rendeva un uomo impuro, già un centinaio-di anni più tardi, quando sant’Ignazio fu straziato dalle fiere in un’arena romana, il culto delle reliquie era cominciato. Le spoglie dei martiri e dei santi, custodite con riverente attenzione, acquistarono ben presto poteri straordinari — che avevano del magico e del miracoloso che le portò ad essere disputate, rubate, comprate e vendute, e, soprattutto, frammentate in pezzi via via sempre più piccoli, sia per l’immenso profitto che se ne poteva ricavare, sia per la convinzione religiosa
— che affondava profonde radici nella Chiesa orientale — che fosse un bene disperdere i resti di un santo in quante più comunità cristiane fosse possibile.
Nel Medioevo, l’epoca d’oro per le reliquie, si riteneva che queste potessero guarire gli infermi, respingere i nemici e difendere le città assediate, mantenere in buona salute il bestiame, procurare un buon raccolto, assicurare la giustizia e costringere a mantenere i giuramenti, far piegare le ginocchia ai malvagi, per non parlare del prestigio che gettavano su chi le possedeva. Non c’è quindi da meravigliarsi se si moltiplicavano di numero e viaggiavano in tutto il mondo allora conosciuto (ossa e «teste» di san Giovanni Battista furono disseminate in tutta la cristianità). Quando i corpi dei santi cominciarono a scarseggiare, saltarono fuori le reliquie secondarie, come le lacrime di Cristo o il suo ombelico (sarebbe più giusto parlarne al plurale, perché, oltre a quello venerato a Roma nella chiesa di Santa Maria del Popolo, ce n’erano in giro altri due) o ancora il suo prepuzio (custodito a Calcata); e la coda dell’asino su cui Gesù avrebbe fatto il suo ingresso a Gerusalemme (coda venerata a Genova, ma tutto lo scheletro dello stesso asino era a Vicenza), indumenti più o meno intimi dei vari santi e sante, il loro sangue prontamente raccolto, i più svariati strumenti con cui erano stati torturati e via di questo passo. Una reliquia era soprattutto un buon affare dal punto di vista finanziario, perché attirava pellegrini a frotte, che facevano donazioni di ogni tipo, anche in natura (nacquero così le prime fiere), e questo spiega in parte i casi paradossali di santi inventati o di sparizioni di spoglie confutate.
Ma il culto delle reliquie non era coltivato soltanto da persone intrise di religiosità: da Byron, che conservava ciocche di capelli delle donne da lui amate, al cappellano di Napoleone che non si fece scrupolo di portar via peli e parti di viscere subito dopo la morte dell’ex imperatore dei francesi, a Jeremy Bentham il quale pensava che avere sempre accanto a sé il cadavere ridotto a «icona» di un parente o di un amico fosse una cosa psicologicamente gratificante, la venerazione delle reliquie ha fatto accoliti dovunque.
Un libro, questo, rigorosamente documentato, che appassionerà sia i credenti che gli scettici, gettando una nuova e medita luce sulla storia sociale dell’Occidente dagli albori della cristianità a oggi.

Dalla quanta di copertina