giovedì 11 dicembre 2008

Abishag

Abishag
La funzione avuta dalla ragazza di questo nome è così descritta nell’Antico Testamento:
«Il re David era vecchio, molto in là con gli anni; lo si ricopriva di abiti senza riuscire a riscaldarlo. I suoi servitori dissero: ‘Che si ricerchi per il re una ragazza vergine; che stia vicino al re e lo serva come ancella; che dorma nel suo grembo, e il re si riscalderà ‘ » (I Re I 1-2). In un passaggio successivo si precisa che la ragazza di nome Abishag era « bella » (I Re I 3) e più sotto che il re non la conobbe, in senso biblico, s’intende (I Re I 4).
La letteratura rabbinica attesta diversi tentativi simili a questo di trasmettere energia vitale a un vecchio con la vicinanza fisica di una persona giovane.
(…)
Da AA.VV. Nuovo dizionario di sessuologia, Longanesi, Milano, 1969
Pag. 1

disegno:
Anonimo, Abishag (incisione; sedicesimo secolo). Bibliotheque Nationale, Gabinetto delle stampe, Parigi)

Autocrocifissione

Autocrocifissione
Forma aberrante di masochismo che si giustifica con un pretesto ascetico. L’esempio più celebre è quello di Matteo Couet di Casale (1789-1806). A tredici anni si castra e getta via per strada gli organi genitali. Questo basta ad assicurargli la fama: più tardi si esibisce a Venezia, dove ha l’idea di crocifiggersi pubblicamente. Con le assi del letto si fabbrica una croce che espone per strada il giorno di san Matteo, festa del suo santo patrono, ma i passanti gli impediscono di inchiodarvisi sopra. Due anni dopo fa un secondo tentativo altrettanto metodico. Per evitare un’eventuale caduta, dispone una rete da lui stesso annodata tutto intorno alla croce e per evitare ogni intralcio da parte di estranei comincia a piantarsi i chiodi in camera sua. Si fora i piedi in corrispondenza di lunghi chiodi, poi si buca le mani e infine si ferisce il costato, a destra. Senza dimenticare di porsi sul capo la corona di spine, cala subito dopo dalla finestra la croce, preventivamente fissata a una trave del soffitto, e dà spettacolo di sé. Sviene poco dopo e viene internato in un manicomio. Cerca di uccidersi digiunando e cercando di prendere un colpo di sole: vi riesce il 2 aprile 1806.
Più di recente, nel 1959, Georg Krausert, un calzolaio tedesco di Hòchst (Francoforte), si crocifisse per « conquistarsi il diritto » di essere adorato e per provare a una piccola setta, da lui fondata, che
il sacrificio di Cristo poteva ripetersi.

Da AA.VV. Nuovo dizionario di sessuologia, Longanesi, Milano, 1969
Pagg. 82-83
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il disegno dell'autocrocifissione di Matteo Couet (litografia inglese del 1807).

LA QUESTIONE ROMANA

C. A. JEMOLO

LA QUESTIONE ROMANA
Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano, 1938

Oggi — dopo nove anni di Concordato operante e bene operante — si può esaminare la così detta questione romana nel suo insieme: vedere cioè, quando in realtà si sia posto per la prima volta sul terreno dottrinale e su quello pratico il problema d’un Papato privo d’una base di forza materiale, come questo problema sia apparso sin da principio connesso all’attuazione dell’unità d’Italia e come negli anni dal 1870 al 1929 esso venisse risolto in uno con quello più arduo e contingente della convivenza in una stessa sede del governo italiano e della cattedra di San Pietro. Questa breve e pur vastissima storia è, nelle sue linee generali, riassunta dal Jemolo in una prefazione che ha il compito di preparare il lettore all’esame della messe preziosa di documenti ch’egli ha raccolto in questo volume, suddividendoli con metodo e illustrandoli con rara dottrina. Il lettore ha così sott’occhio tutta la documentazione della questione romana dal 1861 a oggi; gli sarà agevole, perciò, giungere a una chiara valutazione della legge delle guarentigie, “la migliore “ scrive il Jemolo che si potesse fare attese le circostanze, volendo che Roma fosse parte integrante del regno d’Italia, ed essendo impossibile ottenerne la cessione dal Pontefice a, seguire l’evoluzione della questione romana nelle sue varie fasi e comprendere quali fattori — a parte l’eccezionale statura dell’uomo politico che volle e attuò il concordato — resero possibile quella soluzione definitiva del problema che i governi anteriori al Fascismo avevano cercato invano per più di mezzo secolo.

Dal risvolto di copertina

E Dio Creò la Donna. Chiesa, religione e condizioni femminile

Roberta Fossati
E Dio Creò la Donna. Chiesa, religione e condizioni femminile
Mazzotta, Milano, 1977

Dalla Controriforma ai giorni nostri la Chiesa cattolica è intervenuta pesantemente nella vita delle donne italiane, nella sfera sociale ome in quella del loro «privato». E assai difficile stabilire quali relazioni esistano tra i condizionamenti al ruolo femminile sorti in età borghese e quelli ereditati da una precedente tradizione religiosa e mutuati dal capitalismo.
Per cercare di chiarire questi problemi, l’autrice indaga la funzione e le forme specifiche della ideologia cattolica sugli aspetti fondamentali della vita quotidiana e della collocazione nel sociale delle donne.
In collegamento con le ricerche svolte da gruppi di donne facenti parte delle comunità cristiane di base e dei «cristiani per il socialismo» e militanti contemporaneamente nei movimenti femministi, si tenta inoltre una sorta di riappropriazione culturale dei testi biblici, per sottrarli alla lettura e all’interpretazione che da almeno duemila anni ne vanno facendo i maschi, soprattutto celibi.

Sommario:
Introduzione — La famiglia cristiana — Eva: la donna e la coppia — Sessualità e tradizione religiosa — Maternità e sofferenza — La questione dell’aborto
— I modelli religiosi femminili — Riflessioni finali — Bibliografia per argomenti.

Dalla quarta di copertina



Da pagina 96-97

I discorsi alle ostetriche di Pio XII (1951 e 1956)

Nel dopoguerra italiano, in un momento in cui la ricerca scientifica sembrava avviarsi a liberare la donna dal parto doloroso, la Chiesa intervenne esplicitamente: Pio XII in due famosi discorsi, uno del 1951 rivolto alle ostetriche e uno del 1956 rivolto a ginecologi e docenti di ostetricia, ribadì il no cattolico alle ricerche e alle sperimentazioni del parto in anestesia. Il papa approvava la ricerca sul parto psicoprofilattico, pur con l’avvertimento che:

“messo di fronte alla scoperta scientifica del parto senza dolore, il cristiano si guarda bene dall’ammirarla senza riserva o dall’utilizzarla con premura esagerata.”
97

Teniamo presente che questi discorsi venivano rivolti al personale medico e paramedico degli ospedali italiani, molto spesso strettamente legati al mondo ecclesiastico; possiamo pensare come l’influenza combinata degli assistenti religiosi inseriti nella struttura sanitaria e di ginecologi e ostetriche di estrazione cattolica abbia influito sull’esperienza di maternità delle donne che hanno partorito in tutti questi anni. Il papa, nei suoi discorsi, sembra molto conscio di tutto ciò: egli accenna spesso, infatti, alle confidenze che le ostetriche raccolgono, dalle giovani spose e dalle giovani madri, e ai consigli di cui esse sono richieste.
Chi condannasse l’uomo a subire dolorose operazioni senza anestesia sarebbe accusato di crudeltà; affermare che la donna non deve sottrarsi alla sofferenza del parto non pare che abbia suscitato particolare sdegno Pubblico. La misoginia che spinge un papa, in accordo con la tradizione, a usare della Bibbia per giustificare la realtà ormai ovvia, ormai «naturale» della maternità dolorosa non è infatti maggiore del generalizzato sadismo sociale che rende di fatto, ancor oggi, per la donna, l’esperienza della procreazione un’esperienza in moltissimi casi di dolore, facendogliela vivere in condizioni pressochè intollerabili.
La motivazione biblica rinforza la cattiva coscienza di una società che non fa nulla per sottrarre al dolore la donna, che ne vede anzi nella maternità sofferente la condizione stessa di purificazione da una colpevolezza originaria dovuta al suo sesso, poiche

«non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione».

Per questo:

«Anche i dolori che, dopo la colpa originale, la madre deve soffrite per dare alla luce il suo bambino, non fanno che stringere maggiormente il vincolo che li unisce; ella lo ama tanto più quanto più le è costato dolore. Ciò che ha eSpreSso con commovente semplicità Colui che ha plasmato il cuore delle madri (Giov. 16, 21).»

Si ama quindi l’oggetto che procura dolore più che l’oggetto che procura piacere; dove amare e essere dominati sembrano identificarsi; la sofferenza stessa sembra il mezzo indispensabile perché la femmina anche nel momento del parto si ricordi della dominazione cui è sottoposta e la riproduca nel rapporto con i figli fin dalla loro nascita.


Breve storìa dei sesso nelle religioni

H. CUTNER
Breve storìa dei sesso nelle religioni
Longanesi, Milano, 1972

Che il sesso come oggetto di culto non sia estraneo a alcuna religione, da quelle primitive in poi, non è certo una novità. Lo stesso grande poeta Robert Graves ci ha spiegato, nei Miti greci e neHa Dea Bianca (..), come il culto di Maria madre di Gesù discenda da quello della Grande Dea mediterranea, spesso rappresentata con il simbolo di una conchiglia. Così, altri hanno rilevato che la storia di Osiride è intimamente legata a quella di Iside e di Horus, i precursori della nostra Vergine e del Bambino. Altri studiosi fanno notare, allo stesso modo, come le liriche dei cantici abbiano strette analogie con canti da sposalizio arabi tuttora popolari in Siria e in Palestina... Lo scopo di Cutner in questo volume è di fornire e agli studiosi e ai lettori le informazioni storiche e tutti quei particolari che non sono facilmente reperibili se non consultando ponderosi volumi, molti in lingua straniera. L’opera è accompagnata da una specie di ammonimento, e cioè, tutte queste scoperte, notizie e conclusioni, che talvolta potrebbero sembrare scandalose e offensive, non devono essere viste attraverso gli occhiali di un oscurantismo ormai sorpassato, che ci farebbe supporre oscenità dove invece vi è solo ingenuità; e deve essere assente l’interpretazione morale, perché se l’applicassimo, anziché sfuggire alle supposte oscenità aggiungeremmo un’ottusità farisaica e un’esibizione di cattivo gusto.

Dalla quarta di copertina

Da pagina 223-225
Persino nella costruzione delle nostre chiese vi sono indubbiamente simboli di puro carattere fallico. E’ vero che la fantasia e l’immaginazione dei loro architetti hanno creato molti edifici di grande bellezza e, apparentemente, assi lontani da ogni suggestione sessuale. Ma la guglia o il campanile è certamente un reliquato del culto fallico. Lee Alexander Stone va assai più lontano; egli afferma che l’edificio della chiesa è direttamente fondato sul simbolismo sessuale. Egli dice:
(( Allorché uno entra in una chiesa lo fa attraverso una doppia porta (labia maiora, grandi labbra) quindi si trova nel vestibolo (vestibulum). Per andar oltre deve passare attraverso un’altra doppia porta (labia minora, piccole labbra); allorché raggiunge l’interno (vagina) egli vede davanti a sé l’altare (utero) e ad ogni lato dell’altare si possono vedere porte che conducono ad altre stanze (tube del Falloppio), dove il candidato al battesimo viene a contatto col prete o predicatore, ed è qui che egli riceve il seme della rigenerazione; egli torna indietro all’altare ed è battezzato (liquido amniotico) e lascia la chiesa come anima rinata ».
Per quanto tutto questo possa apparire eccessivamente elaborato, non differisce molto dall’antica pratica di molte antiche e di alcune moderne religioni, di far passare i devoti attraverso aperture a forma di yoni, o fessure in lastre di pietra allo scopo di divenire fecondi, o «rinati)) o •divenir lavati dai propri peccati. E questa apertura a forma di yoni è stata riprodotta in molte finestre di forma ellittica che adornano le nostre chiese, come pure le porte, recessi e altre aperture. Persino famosi dipinti religiosi non sono sfuggiti a questa forma ellittica. Dozzine di noti dipinti della Vergine Maria e di Gesù hanno un ellisse attorno, e in molti casi uno particolarmente suggestivo. In Utrecht vi è un dipinto di Elisabetta e di Maria, dipinto attorno al 1400, che mostra Gesù e Giovanni come embrioni chiusi in piccole ellissi. Molti altri esempi possono essere trovati nei lavori della Jameson, tutti tratti da pittori classici e da vecchi maestri, che provano oltre ogni dubbio che essi riconoscevano l’ellisse come simbolo dello yoni o della “porta della vita“.
Nella abbazia di Dumblane vi è una finestra che fu considerata da Ruskiri una delle più belle d’Inghilterra; Wall ne dà una riproduzione in Sex Worship. Ma non molti dei visitatori dell’abbazia che vedono questa finestra riconosceranno il suo simbolismo che è assolutamente realistico, e che mostra uno yoni con tutte le sue parti componenti, le grandi labbra, le piccole labbra, il clitoride, il vestibolo e l’orifizio. E Payne Knight nel suo Worship of Priapus, dà le illustrazioni di altri resti fallici trovati in molte chiese cristiane.
Il pesce come simbolo fallico è già stato citato. Psicologi moderni come Freud vedono in esso un simbolo dell’organo maschile, ma esso, specialmente la testa e la bocca, è stato altresì riconosciuto come simbolo femminile.

Gesù cristo non è mai esistito

Emilio Bossi (Milesbo)
Gesù cristo non è mai esistito
Edizioni La Fiaccola, Ragusa, 1976.
La figura storica del Cristo è servita sempre come alibi per coprire le nefandezze, i crimini, le atrocità, i massacri, perpetrati dai preti in tutti i secoli.
La religione ha utilizzato il mito di Gesù, fermandosi nel descriverlo buono e saggio, per fare accettare alle plebi un messaggio di pace e di amore, in un mondo di contrasti e di lotte, per facilitare il compito di coloro che avevano interessi a tosarle e a mantenerle nella miseria.
Dopo duemila anni la scena non è di molto cambiata. Il p… vestito a festa che risponde al nome di Paolo VI, che viene portato in giro — in pieno secolo ventesimo — sulla stessa sedia su cui sedevano i grandi carnefici del passato, fondatori e sostenitori dell’Inquisizione, tende la mano benedicente ai grandi massacratori di oggi, accogliendo nelle sue paterne braccia gente come Pinochet, come Franco, come i responsabili dei regimi razzisti del Sud Africa. In questo modo l’ignobile vecchio di Roma compie ancora una volta la funzione di ogni religione:
nascondersi dietro le parole di pace e di amore, per condurre a compimento disegni di sterminio e di guerra.
Solo la cosciente responsabilizzazione degli individui e dei popoli potrà, nella rivoluzione, cancellare dalla storia, sia il mito “buono” del Crìsto, come tutti i pagliacci e i becchini, tutti i capi di governo e tutti i papi, che di quel mito hanno fatto uno scudo e un baluardo.

Dalla quarta di copertina

Da pagina 223
Con Cristo, necessariamente, dovrà scomparire anche il cristianesimo.
Coloro che confondono il cristianesimo col moralismo ci do-manderanno, anche in buona fede: ma che avverrà allora dell’umanità senza la benefica illusione di un mito ritenuto l’ideale dell’uomo, come da tanti si reputa Cristo? Sembrando loro che con Cristo scomparir debba anche la morale umana. Ci basta rispondere con questa altra domanda: forse che la umanità ebbe bisogno di Cristo per tutto il tempo precristiano? Eppure, ci furono società colte e civili anche prima; ci furono costumi ed esempi di morale che il cristianesimo non ha certo sorpassati; ci furono Stati potenti, ricchi, prosperi; ci furono filosofi, poeti, artisti, scienziati, giuristi, che ancora oggi si tolgono a modello, mentre, se vi furono istituzioni cattive e costumi inumani, essi non furono aboliti dal cristianesimo, bensì dalla filosofia, e mentre dal canto suo il cristianesimo aggravò i mali che già la filosofia non avesse distrutti aggiungendone di nuovi, come, per citarne alcuni soli, la lotta dell’anima contro il corpo e le persecuzioni dei credenti contro i non credenti.
Come prima del cristianesimo, così in avvenire non si avrà proprio alcun bisogno del mito « Cristo » per fare ciò che è nella natura umana di fare.
Cristo può, quindi, ritornare definitivamente in cielo, dal quale non avrebbe mai dovuto discendere in quella terra che il suo nome riempié di rovine e di pazzie.
Nessun rimpianto, da parte nostra, per questo idolo che se ne va. Anzi, la contentezza di un male che vien meno.
Ora a voi, pagani stoltamente calunniati e distrutti; a voi, ebre i ingiustamente odiati e conculcati; a voi, liberi pensatori d’ogni tempo, maniera e grado, atrocemente perseguitati; a voi tutti la riabilitazione della storia, della scienza e dell’umanità:
Cristo, il vostro detrattore; Cristo, il vostro persecutore, Cristo non è più!

sabato 6 dicembre 2008

Storia dell’affermazione del cristianesimo

Voltaire
Storia dell’affermazione del cristianesimo
A cura di Francesco Capriglione
Bastogi, Foggia, 1993

Molti ritengono che per conoscere Voltaire sia sufficiente sfogliare le voci del suo Dizionario filosofico e che, quindi, basti leggere la voce Cristianesimo, per conoscere le sue critiche. Eppure, egli ha dedicato a questo tema un’opera specifica, che, però, resta tra le sue grandi opere la meno nota, pur meritando di essere attentamente letta e intelletta, perché in essa convergono tematiche filosofiche e storiche unite a pratica di metodo critico e di abilità letteraria, che ne fanno un testo nodale per comprendere l’ambiente storico-culturale del Settecento illuministico e anti-illuministico.
Si tratta, quindi, di opera fondamentale, forse la meno polemica e la più criticamente illuministica di Voltaire, per cui sembra davvero strano che, a ben due secoli dalla sua prima apparizione, quest’opera non sia stata giustamente riscoperta. Quando, infatti, il suo autore muore, nel 1778, l’opera giace in tipografia e mai sarà stampata da sola né in Francia né all’estero. Bisognerà attendere il 1785, perché nel torno XXXV delle Oeuvres (edizione di Kehl) compaia per la prima volta l’Histoire de l’établissement du christianisme, ristampata, poi, nel 1796, nel tomo XXXIV dell’edizione Cramer e nel tomo XXX ( dell’edizione Renouard del terzo decennio del secolo XIX. Da quel momento nessun’altra edizione da nessuna parte. Eppure, è un’opera scritta con estrema fluidità ed accessibilità, che costringe, tuttavia, ad interrogativi radicali sulle origini contraddittorie della religione, della bibbia e del cristianesimo.
Dalla quarta di copertina

POVERA SANTA. POVERO ASSASSINO. La vera storia di Maria Goretti

Giordano Bruno GUERRI
POVERA SANTA. POVERO ASSASSINO. La vera storia di Maria Goretti

Oscar Mondadori, Milano, 1993

Giovanni Paolo Il ha istituito una Commissione di Studio per rispondere a questo libro. L’ autore ribatte alle decine di “errori” che gli vengono contestati e ribadisce” i falsi di un processo canonico e i veri motivi che convinsero la Chiesa a inventare una santità”.
Dalla quarta di copertina:
A oltre otto anni dalla precedente edizione, che suscitò tanto clamore, la prima e unica biografia laica di santa Maria Goretti torna in libreria. Questa edizione, oltre a riproporre identico un testo il cui valore appare inalterato, è corredata di un’appendice nella quale Giordano Bruno Guerri replica punto per punto alle accuse mosse dalla Commissione di Studio vaticana istituita per confutarne le tesi. Inoltre, la nuova introduzione spiega perché il libro provocò l’inusuale e clamorosa reazione del Vaticano, valuta l’atteggiamento della società italiana in una situazione di “conflitto della Chiesa” e analizza l’attuale “politica dei santi” di Giovanni Paolo Il.

Da pagina XXII e XXIII:
La violenza psicologica operata sulle bambine e le adolescenti. che, suggestionate dal clamore suscitato dalla canonizzazione e dall’educazione ecclesiastica, si fecero ammazzare dicendo di voler fare “come Maria Goretti”.

In conclusione, la Chiesa è libera di fare santo chi vuole, con il metodo che preferisce, ma lasci ai non credenti la libertà di analizzare modi e finalità, che sono entrambi molto terreni e discutibili. E i miei settantanove errori presunti non mutano di una virgola la sostanza di Povera santa, povero assassino. Come — mi si perdoni lo spropositato paragone — i quattromila errori attribuiti dai gesuiti a Erasmo non sminuiscono la grandezza dell’Elogio della Pazzia. E i trecentosessantadue errori trovati dal cardinale Sforza Pallavicino nella Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi non tolgono niente alla verità di quell’opera, mentre l’analogo libro del cardinale rimane nella storia soltanto come un esempio di intolleranza ecclesiastica.


Qualche considerazione sugli intellettuali italiani

Come ho detto, i giornali del 1985-1986 si occuparono molto del caso. Gli opinionisti cattolici erano saldamente schierati in difesa della Chiesa, in un modo veramente esagitato; basterà ricordare un articolo di Giampaolo Cresci su «Prospettive nel mondo» del 7 febbraio 1985, secondo il quale “si tenta di colpire con ogni mezzo la devozione popolare, il senso del sacro nella vita con un lavaggio del cervello in grande stile. E un’operazione degna di manipolatori nazisti o sovietica dei mass-media”.
Gli intellettuali laici invece scrissero articoli anche molto brillanti, ma pochissimi presero parte (ricordo con particolare gratitudine Luigi Firpo, Ida Magli, Federico Zeri). Fu malamente esemplare soprattutto il parere di Francesco Alberoni, il quale sostenne che, se avevo indagato su Maria Goretti, evidentemente avevo un personale problema di fede, e che la faccenda non riguardava la società italiana. Lo stesso fece, più o meno, Giuliana Dal Pozzo sull’”Unità» (9 febbraio 1985), affermando che i laici non si devono occupare di santi. Tesi stravaganti, visto che la Chiesa cattolica ha sempre fatto del culto dei santi uno strumento privilegiato per attirare la devozione popolare e quindi condizionare il comportamento dell’intera società. Quasi nessuno capì — o finse di non capire — che i veri problemi sollevati dal libro non erano se Maria aveva davvero resistito all’assassino e se fosse o no santa.
Pochissimi articoli rinunciavano a citare il proverbio, per l’occasione preso molto sul serio, “scherza coi fanti e lascia stare i santi” Perché lasciare in pace i santi? Perché non discuterli, se rappresentano i modelli che di volta in volta la Chiesa ci suggerisce? Quasi tutti tendevano a “non immischiarsi” e a lasciare in pace, oltre che i santi, anche i “fanti” della Chiesa. Mi sembrò curioso in un popolo abituato a prendere parte in qualsiasi discussione, schierandosi con passione. Fu la molla che mi spinse a iniziare le ricerche per il mio successivo studio Gli italiani sotto la Chiesa — Da San Pietro a Mussolini (Mondadori 1992), dove ho cercato di ricostruire i condizionamenti e le sudditanze nate in quasi due millenni di predominio ecclesiastico.
Il“caso Maria Goretti” fu appunto molto interessante e significativo per osservare l’atteggiamento degli intellettuali italiani in una situazione di conflitto con la Chiesa. Non voglio essere così maligno e volgare da insistere troppo sul fatto che. mettersi contro la Chiesa — quindi contro i suoi credenti — è parecchio scomodo, come ben sa chi ci prova: i cattolici sono presenti ovunque, e a irritarli si rischia, quando meno te lo aspetti, di perdere il concorso universitario, la collaborazione al giornale. Di certo si hanno meno recensioni, si vendono meno libri, avendo fama di anticlericale (definizione che, per me, rifiuto, tanto si è riusciti a darle un significato di piccineria fanatica).
Voglio credere, piuttosto, che a guidare la prudenza di tanti intellettuali laici nelle polemiche contro la Chiesa sia l’ancestrale condizionamento socioculturale di rispetto alla religione, particolarmente forte, per ovvi motivi, in Italia.
(…)

Dio cavalca un cherubino. Le incredibili stravaganze della Bibbia.

Zorobabele
Dio cavalca un cherubino. Le incredibili stravaganze della Bibbia.
Baldini e Castaldi, Milano, 1994
Dall'introduzione:
Gli antichi ebrei vedevano continuamente Dio, persino mentre « cavalcava un cherubino » (Salmo 18,11) e raccontavano le sue imprese in modo grossolano e mortalmente noioso in un insieme di libri poi chiamati Bibbia. Sarà per questo che, dopo, Dio non è più apparso.
La Bibbia ha avuto comunque successo diventando il Testo Sacro dei cattolici, dei protestanti e degli ortodossi, oltre che degli ebrei. Ma la Chiesa cattolica (quella che, non a caso, si è diffusa di più) non ha mai incoraggiato i fedeli alla lettura diretta della Bibbia e nel Concilio di Tolosa, del 1229, l’ha addirittura proibita.
Il primo motivo di questo comportamento, apparentemente strano, è che solo la mediazione del clero garantisce alla Chiesa il ruolo che si è attribuita di interprete fra l’uomo e la divinità. Ancora oggi, la posizione ufficiale della Chiesa, espressa solennemente nel Concilio Vaticano II (Roma 1962-65), è questa: «Compete ai Sacri Presuli, depositari della dottrina apostolica, amministrare opportunamente i fedeli loro affidati al retto uso dei libri divini». Ovvero: l’uomo — anche l’uomo contemporaneo, noi — non può capire la Bibbia se non gli viene spiegata dal papa, dai concili, dai vescovi.
Il secondo buon motivo per cui la Chiesa cattolica scoraggia la lettura diretta e integrale della Bibbia è che il libro contiene tante e tali assurdità e violenze esplicitamente volute da Dio da disorientare e confondere anche il più pio dei fedeli.
(…)
Non staremo a chiederci come mai un Dio bizzarro abbia scelto una strada così complicata (Spirito Santo — popolo di pastori — morte del proprio figlio — interpretazione della Chiesa), per comunicarci il suo pensiero in un libro di oltre 2000 fittissime pagine in gran parte inutili. Farlo significherebbe cadere in pieno nella trappola tesa all’uopo dalla Chiesa, ovvero che la Bibbia può essere capita solo «con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta», il che equivale a dire che solo l’autore può valutare la propria opera, e il lettore stia zitto e buono.
Naturalmente nessun uomo che abbia rispetto della propria intelligenza ha mai accettato questo assurdo e c’è sempre stato chi ha contestato le «verità» della Bibbia, a costo di subire persecuzioni e punizioni mortali. A partire soprattutto dal Settecento — e poi con la storiografia, filologia, archeologia moderne — numerosissimi studi hanno abbondantemente dimostrato che l’Antico Testamento è in realtà il prodotto della superstizione e dell’ignoranza di uomini vissuti 2800-2200 anni fa che hanno accumulato leggende, paure e migliaia di errori scientifico-storici nonché altrettante contraddizioni. L’Antico Testamento è uno zibaldone di religiosità primitiva mischiata a favole indiane e persiane, imitazioni di usanze egiziane, cronache improbabili quanto ininteressanti delle vicende matrimoniali-guerresche di sperdute tribù palestinesi, poesie e saggezze tragicamente, comicamente umane.
(…)
La Chiesa cattolica dunque non ha dovuto faticare nello scoraggiare i fedeli dal leggere la Bibbia per intero — l’opera si sconsiglia da sé — e ha avuto buon gioco nel dispensare il suo testo sacro in pillole, suggerendo ai fedeli solo certi passaggi e spiegando il resto con la necessità dell’interpretazione di testi «letterari» e «allegorici». In realtà non si tratta di allegorie ma di testi scritti in tempi crudeli, con profonda ignoranza e fanatismo: leggerli senza chiose dà l’esatta misura di quanto siano grotteschi e ripugnanti molti episodi e concetti della Bibbia per giustificare i quali sono stati scritti milioni di chiose, migliaia di volumi.

IL PAPA E IL DIAVOLO

Vittorio Gorresio
IL PAPA E IL DIAVOLO
Rizzoli, Milano, 1973

È’ la storia politico-religiosa del papato di Paolo VI, centrata sul tentativo dell’attuale Pontefice di stabilire un dialogo fra la Chiesa cattolica e il mondo moderno. Ispirato a un’esigenza che era già stata sentita da Giovanni XXIII, il Papa della nuova missione, il tentativo fallisce tra le incertezze e le contraddizioni di Papa Montini che con il progressivo smantellamento dell’opera del Concilio ecumenico Vaticano Il di enciclica in enciclica ha dato luogo ad una nuova controriforma deludendo le speranze, anche quelle ecumeniche, di tanta parte del mondo cattolico e laico di oggi. Rivelatori di un grave attardamento teologico sono stati i due discorsi di Paolo VI sull’esistenza fisica del diavolo, il 29 giugno e il 15 novembre 1972: difficile, su questo piano, andare incontro a un dialogo con il mondo della cultura moderna. In alternativa, Paolo VI si prova ad avvicinare il cosiddetto Terzo Mondo nel desiderio di farsene l’interprete presso i potenti della terra:
di qui la lunga impresa dei suoi viaggi intercontinentali, tuttavia spesso mal preparati e quasi tutti mal compresi. Il dramma di Papa Montini è di parlare un linguaggio fuori del nostro tempo, in contrasto involontario con la innegabile sincerità dei suoi slanci pastorali, onde si allarga e si approfondisce la crisi della Chiesa cattolica.
Dal risvolto di copertina

Partendo da lontano e girando alla larga come sogliono i Papi che parlano ai popoli per encicliche (dal greco enkyklios, circolare), nella sua Humnanae vitae sulla “regolazione della natalità” arrivato al 140 paragrafo, 35 capoverso, Paolo VI diceva finalmente un primo chiaro no; contro il coitus interruptus: « Dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato ».
Segue un secondo no all’aborto terapeutico, un terzo contro la sterilizzazione, un quarto contro le pratiche anticoncezionali in genere, intese come « azioni che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si propongono, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione ».
Le quattro negazioni trovano il loro fondamento nel Catechismus romanus del concilio di Trento (p. Il, c. VIII), nella Casti connubii di Pio XI (31 dicembre 1930), in due documenti di Pio XII del 1951 e del 1958 (cfr. rispettivamente, gli Acta apostolicae sedis n. 43 p. 843, e n. 50 p. 734) e ad abundantiam nella Mater et magistra di Giovanni XXIII (15 maggio 1961). Non è a dire con questo che dal Trento 1563 siano trascorsi invano quattro secoli: di nuovo, infatti, nella Humanae vitae si trova l’insistenza sul concetto che bisogna rimettersi ai cosiddetti ritmi naturali studiati e calcolati dai dottori Ogino e Knaus.
Paragrafo 11 dell’enciclica: « Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite». Paragrafo 16: « La Chiesa insegna essere lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere i principi morali ». Paragrafo 24: « È in particolare auspicabile che, secondo l’augurio formulato da Pio XII (cfr. Acta apostolicae sedis 1951, n. 43, p. 859) la scienza medica riesca a dare una base sufficientemente sicura a una regolazione delle nascite fondata sull’osservanza dei ritmi naturali ».
Immaginandosi, comunque, che il calcolo OginoKnaus possa rivelarsi non infallibile, Paolo VI suggeriva il solo rimedio risolutivo esistente — la continenza e la castità — invitando nel paragrafo 22 tutte le persone oneste e responsabili a « creare un clima favorevole all’educazione della castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza ». A questo punto, occorre dire, egli scivolava un pò’ verso una confusione tra cose incomparabili, il rapporto sessuale e oscenità: « Tutto ciò che nei moderni mezzi di comunicazione sociale porta alle eccitazioni dei sensi, alla sfrenatezza dei costumi, come pure ogni forma di pornografia o di spettacoli licenziosi, deve suscitare la franca e unanime reazione di tutte le persone sollecite del progresso della civiltà».
Di più, al paragrafo 17, egli scendeva ad un’affermazione che suona grave per le donne, giudicate esseri inferiori da una retriva tradizione purtroppo diffusa in certo clero: « Si può anche temere che l’uomo abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna rispettata e amata ». Chi sa chi aveva potuto insinuare nell’enciclica il concetto che la donna che non partorisca è come una sgualdrina; che Dio perdoni questo sconosciuto sconsigliato.


Pagina 42-43 del libro

mercoledì 26 novembre 2008

Le interpretazione di G. C. Vanini

AA. VV.
Le interpretazione di G. C. Vanini
(a cura di Giovanni Papuli)
Congedo Editore, Galatina, 1975

È possibile dare un volto al Vanini, fissare i tratti del suo pensiero, penetrare oltre la disperante ambiguità del dettato delle sue opere?
La risposta a questa domanda è affidata a quattro testi altamente specialistici, comparsi fra il 1950 e il 1970 in Italia, in Francia e in Polonia. Essi ci consentono di costruire delle prospettive molto diverse fra loro, eppure non del tutto estranee l’una all’altra:
almeno nel senso che convergono nel sottolineare come gli studi vaniniani non concedano piil nessuno spazio alle fastidiose polemiche che li hanno avvelenati in passato e si sviluppino, ormai, soltanto al livello di ben meditate proposte interpretative.
Nell’ambito ditali propoate, quella di GiorgioGIO SPINI coglie il Vanini nella mediocrità della sua statura speculativa ma anche nella complessità dei rapporti che lo legano alla profonda crisi etico -religiosa che è propria della sua età e della quale egli è vittima e, ad un tempo, intacitabile portavoce; quella di ANToNIo CORSANO lo considera, alla luce della riscoperta coerenza che pur sussiste fra la sua vicenda speculativa e la sua vicenda biografica, come una delle più originali espressioni della disponibilità del pensiero del tardo Rinascimento ad aprirsi, con tutte le sue irrequietezze, alla tematica dell’incipiente 1i bertinisme; quella di EMILE NAMER lo ritrae nell’impegno, squisitamente umanistico, di edificare, con tutti i materiali che gli offre la cultura del suo tempo, una nuova antropologia; quella di ANDRZEJ Nowicki lo prospetta, di là dalla sua incontenibile ribellione contro ogni forma di oppressione del passato e del presente, come il teorizzatore di un’assiologia già valida per un’assai avanzata utopia sociale.
Si tratta di interpretazioni la cui fecondità risalta pienamente se esse son tenute presenti sullo sfondo di tutto lo sviluppo della ‘fortuna’ del Vanini, della quale segnano indubbiamente una svolta: di quella ‘fortuna’ che, cosi com’è ricostruita da GIOVANNI PAPULI, mostra di essere già passata per le significative tappe delle figurazioni dell’ateo esemplare e del perfetto credente, del pazzo, dell’infame e dell’eroe, del generoso precursore e del consumato plagiario, lasciandosele, ormai, definitivamente alle spalle.
Dal risvolto di copertina

Libri che risorgono

Non solo lo storico del pensiero, ma praticamente ogni uomo di cultura ha il potere di far risorgere i morti. Quando vado in biblioteca e fra tanti libri scelgo e comincio a leggerne uno, sto risuscitando un morto e il mio spirito diviene il luogo dove lui è presente.
Ora, esistono almeno tre diverse forme di questa presenza postuma del pensatore; e il problema non sta nel risuscitare i morti, ma nel come farlo.
In primo luogo il pensatore può essere presente nella nostra coscienza come oggetto. Abbiamo conosciuto i suoi pensieri; essi sono in un certo modo fissati nella nostra memoria; possiamo riferire questi pensieri ad un altro. È una presenza passiva e immobile.
Il pensatore, anche se morto molti secoli fa, può essere presente nella cultura non solo come oggetto, bensì anche come sog getto, quando trova dei seguaci, i quali non solo ricordino i suoi pensieri, ma anche li accolgano come proprie convinzioni e adoperino i suoi strumenti concettuali per il proprio pensare. In tale modo il pensatore morto si trasforma in soggetto della loro attività intellettuale e sopravvive nella loro visione del mondo.
Ma tale sopravvivenza ha un lato deteriore perché toglie ai seguaci la loro autonomia. E poi esiste il pericolo che il pensatore — essendo, per qualche tempo una potente leva del progresso intellettuale — possa lentamente trasformarsi in un ostacolo, in un freno che impedisce il sorgere del ‘nuovo’. Ricorrendo ad un famoso detto di Carlo Marx possiamo asserire che in tale caso « le mort saisit le vif », cioè il seguace diviene lo schiavo del morto e perde la propria personalità sotto il peso della ‘perfezione’ del maestro.
Nella stessa prefazione del Capitale, dalla quale abbiamo citato il detto, Marx ha precisato quali lettori vuole avere. Lontano dalla presunzione di costruire un sistema assoluto, che una volta per sempre risolva tutti i problemi e così ‘liberi’ ‘ tutti i posteri dal pensare, egli, al contrario, dichiara che indirizza la sua opera a lettori i quali « vogliono pensare anche loro ».
E così abbiamo scoperto il terzo modo della presenza del pensatore morto tra i vivi. Non come oggetto e non come soggetto del nostro pensare, ma come amico e compagno delle nostre lotte e dei nostri lavori. Possedendo il meraviglioso potere di far risorgere i morti, dobbiamo risuscitarli organizzando la loro attiva partecipazione alla nostra attività creatrice. Adoperando una bella espressione di Aldo Capitini (1899-1968), possiamo parlare di una vera « compresenza dei vivi e dei morti ».

AA. VV. (a cura di Giovanni Papuli)
Le Interpretazione di G. C. Vanini
Congedo Editore, Galatina, 1975
pag. 315-316

Lourdes ovvero il ciclo francese

Lourdes ovvero il ciclo francese

« Si era anzitutto colpiti dalla costituzione fisica della fanciulla, gracile e rachitica, e dalla sua fisionomia idiota; non ampia la fronte, con forte inclinazione all’indietro. Dopo aver proceduto all’auscultazione, riscontrai rantoli sibilanti ed i segni di una malattia organica del cuore. La rividi l’indomani, col direttore della Scuola d’Agricoltura di Lourdes, riscontrai nella ragazza manifestazioni di dispnea, vi erano i sintomi di costituzione apoplettica con indebolimento delle facoltà intellettuali ». Questo non è il quadro clinico di una qualsiasi povera infelice capitata a Lourdes in cerca di guarigione, ma il referto medico ufficiale stilato all’indomani delle « apparizioni » di Lourdes sullo stato psico-fisico di Bernadette Soubirous, la bambina tubercolotica, asmatica e, come abbiamo visto, idiota, sulle cui affermazioni si basa l’intera impalcatura che regge da un secolo la più funzionale industria del miracolo che sia mai stata impiantata sul nostro pianeta. Il referto fu stilato nel 1858 dal dottor Delmas di Roquecourbe, unitamente al Presidente del Consiglio Generale degli Alti Pirenei. Qualche anno dopo un altro medico, il dottor Augusto Voisin affermò:
« Il miracolo di Lourdes è stato affermato sulla testimonianza di una bambina che soffriva di allucinazioni ».
Ecco, queste sono le basi da cui necessariamente occorre partire per trattare il « fenomeno » Lourdes. Ormai sull’argomento sono stati scritti circa 4 mila libri.

Giuseppe De Lutiis, L’industria del santino, Anno santo ’75 ovvero la Fede nel Profitto, Guaraldi, Rimini, 1973.Pagina 51

“Augusta miseria”. Aspetti delle finanze pontificie nell’età del capitalismo

Carlo Crocella
“Augusta miseria”. Aspetti delle finanze pontificie nell’età del capitalismo
Nuovo Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1982

In questo volume si affronta un argomento che ha interessato gli storici e attirato in pari tempo l’attenzione dell’opinione pubblica. Il problema delle finanze pontificie si pose in modo drammatico sin dalla prima metà dell’Ottocento e divenne ancora più grave dopo che lo Stato della Chiesa perse, nel 1859-60, le sue regioni più ricche. Al problema della sopravvivenza dello stato si aggiunse allora quello ben più grave di trovare risorse per far fronte al governo della chiesa universale. A parte taluni espedienti monetari del cardinal Antonelli,si ricorse per lo più a prestiti internazionali. Banchieri, finanzieri, capitalisti “cattolici” talora spregiudicati come il belga Langrand-Dumonceau - finito in bancarotta nel 1870 e sottrattosi con una fuga ad una dura condanna - avanzarono iniziative e proposte per una istituzione o organizzazione finanziaria cattolica a servizio del papa. Ma il soccorso alla Santa Sede non giunse dai grandi capitalisti, quanto piuttosto dai fedeli di tutto il mondo che diedero vita a una colletta, prima spontanea, poi via via sempre più organizzata, che fu l’Obolo di San Pietro. Gli umili credenti non pensavano a far prestiti; preferivano donare al pontefice, perché egli potesse rispondere liberamente alla domanda religiosa che saliva dal basso e conservare la chiesa in decoro-sa povertà.
caduta Roma nel 1870 le risorse dell’Obolo cominciarono ad eccedere i bisogni e le spese della Curia romana. Nacque allora il problema di come investire il sovrappiù. E fu così che la Chiesa si ritrovò impigliata in quel mondo capitalista che in linea di principio non aveva mai potuto accettare, e in un giro di banche, banchieri e affaristi pronti a strumentalizzare anche i più alti valori religiosi.


Indice del volume. Presentazione di Giancarlo Mazzocchi. Premessa. 1. La crisi finanziaria dello stato pontificio dopo la Restaurazione. 2. Le proposte dei capitalisti cattolici per la ripresa economica dello stato della Chiesa. 3. La politica monetaria del cardinal Antonelli. 4. L’Obolo di san Pietro. 5. Venti Settembre: una sconfitta vantaggiosa. Alcuni interrogativi.

Dalla quarta di copertina.

L’idea laica nell’Italia contemporanea.

Tina Tomasi
L’idea laica nell’Italia contemporanea.
La Nuova Italia, Firenze, 1971
Dal dibattito tra Chiesa e Stato nell’italia preunitaria al laicismo della destra storica, dai bilancio politico delle associazioni operaie e delle leghe per l’insegnamento popolare al riformismo dell’età positivista, dalla crisi giolittiana alla controffensiva spiritualista, dalla fioritura dell’idealismo alla critica pedagogica d’ispirazione marxista, dall’eclissi dell’idea laica nel periodo fascista alla gestione democristiana del ministero della P.I., dal cattolicesimo postconciliare alla « nuova risposta » laica: una storia del pensiero educativo e della politica scolastica nella prospettiva del conflitto tra le forze sociali e culturali che ha costituito la storia d’italia nell’ultimo secolo.
Dalla quarta di copertina

Venti settembre: una sconfitta vantaggiosa

Venti settembre: una sconfitta vantaggiosa

Il governo italiano rinuncia ad avanzare pretese sulle somme dell’obolo giacenti nell’Erario pontificio

La successione del governo italiano a quello della Santa Sede in seguito alla conquista militare della città di Roma presenta caratteristiche del tutto peculiari rispetto ad altri fatti analoghi. Infatti il governo italiano non sostituisce la Santa Sede in tutti i rapporti giuridici di cui essa è titolare, ma solo in una parte di essi, e precisamente in quelli relativi all’esercizio del potere politico sullo Stato conquistato. Per quanto riguarda invece l’esercizio del potere supremo negli affari della chiesa universale, il governo italiano proclama di voler rispettare la piena indipendenza della Santa Sede.
Il principio, chiaro teoricamente, porta a una serie di contestazioni quando si tratta di applicano nella pratica. Quali edifici in Roma erano di proprietà del papa in quanto capo dello stato e quali invece erano di sua proprietà in quanto capo della chiesa? Su quali istituzioni l’autorità della Santa Sede era esercitata in quanto autorità della chiesa e su quali invece in quanto autorità dello stato? Infine, quale parte dei mezzi finanziari rinvenuti dalle autorità italiane nelle pubbliche casse era da considerarsi appartenente all’amministrazione civile e quale invece riguardava l’amministrazione ecclesiastica? Specialmente quest’ultima questione non era di facile soluzione, qualora si consideri la promiscuità quasi sempre esistita nello Stato pontificio tra l’amministrazione civile e quella ecclesiastica, sia per quanto riguardava le spese che per quanto riguardava le entrate..


In particolare l’obolo di san Pietro offriva il destro a contestazioni per più motivi. Sostanzialmente si trattava di due questioni:
1) Il papa, ricevute dai fedeli le offerte per l’obolo, le versava all’erario dello stato pontificio. Perciò quando gli italiani subentrarono alla precedente autorità di governo, sorse il problema di stabilire se le somme dell’obolo contabilizzate nell’erario fossero da considerare già versate dal papa allo stato, oppure solo “depositate”, e quindi sempre in proprietà del papa, che le aveva ricevute innegabilmente come capo della chiesa. 2) Il governo italiano occupando Roma naturalmente assumeva su di sè il debito pubblico dello Stato pontificio. Tale debito era garantito però anche sull’obolo di san Pietro. Sorgeva dunque il problema se si dovesse continuare a usare le somme dell’obolo per pagare i titoli del debito pubblico.
Le questioni erano gravi, ma non potevano avere che una sola soluzione: dopo il 20 settembre l’obolo di san Pietro doveva considerarsi come entrata esclusivamente ecclesiastica, a piena disposizione del santo padre (…)


Carlo Procella, “Augusta miseria”, Aspetti delle finanze pontificie nell’età del capitalismo
Nuovo Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1982, pagne 155-156.

Ossa senza pace. Storia delle reliquie, sacre e profane, dall’antichità ai giorni nostri: come furono trovate, custodite, disputate,comprate e vendute

James Bentley
Ossa senza pace
Storia delle reliquie, sacre e profane, dall’antichità ai giorni nostri: come furono trovate, custodite, disputate, comprate e vendute, frammentate e moltiplicate…
Sugarco Edizioni, Milano, 1985

Anche se al tempo di Cristo venire a contatto con un cadavere rendeva un uomo impuro, già un centinaio-di anni più tardi, quando sant’Ignazio fu straziato dalle fiere in un’arena romana, il culto delle reliquie era cominciato. Le spoglie dei martiri e dei santi, custodite con riverente attenzione, acquistarono ben presto poteri straordinari — che avevano del magico e del miracoloso che le portò ad essere disputate, rubate, comprate e vendute, e, soprattutto, frammentate in pezzi via via sempre più piccoli, sia per l’immenso profitto che se ne poteva ricavare, sia per la convinzione religiosa
— che affondava profonde radici nella Chiesa orientale — che fosse un bene disperdere i resti di un santo in quante più comunità cristiane fosse possibile.
Nel Medioevo, l’epoca d’oro per le reliquie, si riteneva che queste potessero guarire gli infermi, respingere i nemici e difendere le città assediate, mantenere in buona salute il bestiame, procurare un buon raccolto, assicurare la giustizia e costringere a mantenere i giuramenti, far piegare le ginocchia ai malvagi, per non parlare del prestigio che gettavano su chi le possedeva. Non c’è quindi da meravigliarsi se si moltiplicavano di numero e viaggiavano in tutto il mondo allora conosciuto (ossa e «teste» di san Giovanni Battista furono disseminate in tutta la cristianità). Quando i corpi dei santi cominciarono a scarseggiare, saltarono fuori le reliquie secondarie, come le lacrime di Cristo o il suo ombelico (sarebbe più giusto parlarne al plurale, perché, oltre a quello venerato a Roma nella chiesa di Santa Maria del Popolo, ce n’erano in giro altri due) o ancora il suo prepuzio (custodito a Calcata); e la coda dell’asino su cui Gesù avrebbe fatto il suo ingresso a Gerusalemme (coda venerata a Genova, ma tutto lo scheletro dello stesso asino era a Vicenza), indumenti più o meno intimi dei vari santi e sante, il loro sangue prontamente raccolto, i più svariati strumenti con cui erano stati torturati e via di questo passo. Una reliquia era soprattutto un buon affare dal punto di vista finanziario, perché attirava pellegrini a frotte, che facevano donazioni di ogni tipo, anche in natura (nacquero così le prime fiere), e questo spiega in parte i casi paradossali di santi inventati o di sparizioni di spoglie confutate.
Ma il culto delle reliquie non era coltivato soltanto da persone intrise di religiosità: da Byron, che conservava ciocche di capelli delle donne da lui amate, al cappellano di Napoleone che non si fece scrupolo di portar via peli e parti di viscere subito dopo la morte dell’ex imperatore dei francesi, a Jeremy Bentham il quale pensava che avere sempre accanto a sé il cadavere ridotto a «icona» di un parente o di un amico fosse una cosa psicologicamente gratificante, la venerazione delle reliquie ha fatto accoliti dovunque.
Un libro, questo, rigorosamente documentato, che appassionerà sia i credenti che gli scettici, gettando una nuova e medita luce sulla storia sociale dell’Occidente dagli albori della cristianità a oggi.

Dalla quanta di copertina