giovedì 11 dicembre 2008

Abishag

Abishag
La funzione avuta dalla ragazza di questo nome è così descritta nell’Antico Testamento:
«Il re David era vecchio, molto in là con gli anni; lo si ricopriva di abiti senza riuscire a riscaldarlo. I suoi servitori dissero: ‘Che si ricerchi per il re una ragazza vergine; che stia vicino al re e lo serva come ancella; che dorma nel suo grembo, e il re si riscalderà ‘ » (I Re I 1-2). In un passaggio successivo si precisa che la ragazza di nome Abishag era « bella » (I Re I 3) e più sotto che il re non la conobbe, in senso biblico, s’intende (I Re I 4).
La letteratura rabbinica attesta diversi tentativi simili a questo di trasmettere energia vitale a un vecchio con la vicinanza fisica di una persona giovane.
(…)
Da AA.VV. Nuovo dizionario di sessuologia, Longanesi, Milano, 1969
Pag. 1

disegno:
Anonimo, Abishag (incisione; sedicesimo secolo). Bibliotheque Nationale, Gabinetto delle stampe, Parigi)

Autocrocifissione

Autocrocifissione
Forma aberrante di masochismo che si giustifica con un pretesto ascetico. L’esempio più celebre è quello di Matteo Couet di Casale (1789-1806). A tredici anni si castra e getta via per strada gli organi genitali. Questo basta ad assicurargli la fama: più tardi si esibisce a Venezia, dove ha l’idea di crocifiggersi pubblicamente. Con le assi del letto si fabbrica una croce che espone per strada il giorno di san Matteo, festa del suo santo patrono, ma i passanti gli impediscono di inchiodarvisi sopra. Due anni dopo fa un secondo tentativo altrettanto metodico. Per evitare un’eventuale caduta, dispone una rete da lui stesso annodata tutto intorno alla croce e per evitare ogni intralcio da parte di estranei comincia a piantarsi i chiodi in camera sua. Si fora i piedi in corrispondenza di lunghi chiodi, poi si buca le mani e infine si ferisce il costato, a destra. Senza dimenticare di porsi sul capo la corona di spine, cala subito dopo dalla finestra la croce, preventivamente fissata a una trave del soffitto, e dà spettacolo di sé. Sviene poco dopo e viene internato in un manicomio. Cerca di uccidersi digiunando e cercando di prendere un colpo di sole: vi riesce il 2 aprile 1806.
Più di recente, nel 1959, Georg Krausert, un calzolaio tedesco di Hòchst (Francoforte), si crocifisse per « conquistarsi il diritto » di essere adorato e per provare a una piccola setta, da lui fondata, che
il sacrificio di Cristo poteva ripetersi.

Da AA.VV. Nuovo dizionario di sessuologia, Longanesi, Milano, 1969
Pagg. 82-83
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il disegno dell'autocrocifissione di Matteo Couet (litografia inglese del 1807).

LA QUESTIONE ROMANA

C. A. JEMOLO

LA QUESTIONE ROMANA
Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano, 1938

Oggi — dopo nove anni di Concordato operante e bene operante — si può esaminare la così detta questione romana nel suo insieme: vedere cioè, quando in realtà si sia posto per la prima volta sul terreno dottrinale e su quello pratico il problema d’un Papato privo d’una base di forza materiale, come questo problema sia apparso sin da principio connesso all’attuazione dell’unità d’Italia e come negli anni dal 1870 al 1929 esso venisse risolto in uno con quello più arduo e contingente della convivenza in una stessa sede del governo italiano e della cattedra di San Pietro. Questa breve e pur vastissima storia è, nelle sue linee generali, riassunta dal Jemolo in una prefazione che ha il compito di preparare il lettore all’esame della messe preziosa di documenti ch’egli ha raccolto in questo volume, suddividendoli con metodo e illustrandoli con rara dottrina. Il lettore ha così sott’occhio tutta la documentazione della questione romana dal 1861 a oggi; gli sarà agevole, perciò, giungere a una chiara valutazione della legge delle guarentigie, “la migliore “ scrive il Jemolo che si potesse fare attese le circostanze, volendo che Roma fosse parte integrante del regno d’Italia, ed essendo impossibile ottenerne la cessione dal Pontefice a, seguire l’evoluzione della questione romana nelle sue varie fasi e comprendere quali fattori — a parte l’eccezionale statura dell’uomo politico che volle e attuò il concordato — resero possibile quella soluzione definitiva del problema che i governi anteriori al Fascismo avevano cercato invano per più di mezzo secolo.

Dal risvolto di copertina

E Dio Creò la Donna. Chiesa, religione e condizioni femminile

Roberta Fossati
E Dio Creò la Donna. Chiesa, religione e condizioni femminile
Mazzotta, Milano, 1977

Dalla Controriforma ai giorni nostri la Chiesa cattolica è intervenuta pesantemente nella vita delle donne italiane, nella sfera sociale ome in quella del loro «privato». E assai difficile stabilire quali relazioni esistano tra i condizionamenti al ruolo femminile sorti in età borghese e quelli ereditati da una precedente tradizione religiosa e mutuati dal capitalismo.
Per cercare di chiarire questi problemi, l’autrice indaga la funzione e le forme specifiche della ideologia cattolica sugli aspetti fondamentali della vita quotidiana e della collocazione nel sociale delle donne.
In collegamento con le ricerche svolte da gruppi di donne facenti parte delle comunità cristiane di base e dei «cristiani per il socialismo» e militanti contemporaneamente nei movimenti femministi, si tenta inoltre una sorta di riappropriazione culturale dei testi biblici, per sottrarli alla lettura e all’interpretazione che da almeno duemila anni ne vanno facendo i maschi, soprattutto celibi.

Sommario:
Introduzione — La famiglia cristiana — Eva: la donna e la coppia — Sessualità e tradizione religiosa — Maternità e sofferenza — La questione dell’aborto
— I modelli religiosi femminili — Riflessioni finali — Bibliografia per argomenti.

Dalla quarta di copertina



Da pagina 96-97

I discorsi alle ostetriche di Pio XII (1951 e 1956)

Nel dopoguerra italiano, in un momento in cui la ricerca scientifica sembrava avviarsi a liberare la donna dal parto doloroso, la Chiesa intervenne esplicitamente: Pio XII in due famosi discorsi, uno del 1951 rivolto alle ostetriche e uno del 1956 rivolto a ginecologi e docenti di ostetricia, ribadì il no cattolico alle ricerche e alle sperimentazioni del parto in anestesia. Il papa approvava la ricerca sul parto psicoprofilattico, pur con l’avvertimento che:

“messo di fronte alla scoperta scientifica del parto senza dolore, il cristiano si guarda bene dall’ammirarla senza riserva o dall’utilizzarla con premura esagerata.”
97

Teniamo presente che questi discorsi venivano rivolti al personale medico e paramedico degli ospedali italiani, molto spesso strettamente legati al mondo ecclesiastico; possiamo pensare come l’influenza combinata degli assistenti religiosi inseriti nella struttura sanitaria e di ginecologi e ostetriche di estrazione cattolica abbia influito sull’esperienza di maternità delle donne che hanno partorito in tutti questi anni. Il papa, nei suoi discorsi, sembra molto conscio di tutto ciò: egli accenna spesso, infatti, alle confidenze che le ostetriche raccolgono, dalle giovani spose e dalle giovani madri, e ai consigli di cui esse sono richieste.
Chi condannasse l’uomo a subire dolorose operazioni senza anestesia sarebbe accusato di crudeltà; affermare che la donna non deve sottrarsi alla sofferenza del parto non pare che abbia suscitato particolare sdegno Pubblico. La misoginia che spinge un papa, in accordo con la tradizione, a usare della Bibbia per giustificare la realtà ormai ovvia, ormai «naturale» della maternità dolorosa non è infatti maggiore del generalizzato sadismo sociale che rende di fatto, ancor oggi, per la donna, l’esperienza della procreazione un’esperienza in moltissimi casi di dolore, facendogliela vivere in condizioni pressochè intollerabili.
La motivazione biblica rinforza la cattiva coscienza di una società che non fa nulla per sottrarre al dolore la donna, che ne vede anzi nella maternità sofferente la condizione stessa di purificazione da una colpevolezza originaria dovuta al suo sesso, poiche

«non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione».

Per questo:

«Anche i dolori che, dopo la colpa originale, la madre deve soffrite per dare alla luce il suo bambino, non fanno che stringere maggiormente il vincolo che li unisce; ella lo ama tanto più quanto più le è costato dolore. Ciò che ha eSpreSso con commovente semplicità Colui che ha plasmato il cuore delle madri (Giov. 16, 21).»

Si ama quindi l’oggetto che procura dolore più che l’oggetto che procura piacere; dove amare e essere dominati sembrano identificarsi; la sofferenza stessa sembra il mezzo indispensabile perché la femmina anche nel momento del parto si ricordi della dominazione cui è sottoposta e la riproduca nel rapporto con i figli fin dalla loro nascita.


Breve storìa dei sesso nelle religioni

H. CUTNER
Breve storìa dei sesso nelle religioni
Longanesi, Milano, 1972

Che il sesso come oggetto di culto non sia estraneo a alcuna religione, da quelle primitive in poi, non è certo una novità. Lo stesso grande poeta Robert Graves ci ha spiegato, nei Miti greci e neHa Dea Bianca (..), come il culto di Maria madre di Gesù discenda da quello della Grande Dea mediterranea, spesso rappresentata con il simbolo di una conchiglia. Così, altri hanno rilevato che la storia di Osiride è intimamente legata a quella di Iside e di Horus, i precursori della nostra Vergine e del Bambino. Altri studiosi fanno notare, allo stesso modo, come le liriche dei cantici abbiano strette analogie con canti da sposalizio arabi tuttora popolari in Siria e in Palestina... Lo scopo di Cutner in questo volume è di fornire e agli studiosi e ai lettori le informazioni storiche e tutti quei particolari che non sono facilmente reperibili se non consultando ponderosi volumi, molti in lingua straniera. L’opera è accompagnata da una specie di ammonimento, e cioè, tutte queste scoperte, notizie e conclusioni, che talvolta potrebbero sembrare scandalose e offensive, non devono essere viste attraverso gli occhiali di un oscurantismo ormai sorpassato, che ci farebbe supporre oscenità dove invece vi è solo ingenuità; e deve essere assente l’interpretazione morale, perché se l’applicassimo, anziché sfuggire alle supposte oscenità aggiungeremmo un’ottusità farisaica e un’esibizione di cattivo gusto.

Dalla quarta di copertina

Da pagina 223-225
Persino nella costruzione delle nostre chiese vi sono indubbiamente simboli di puro carattere fallico. E’ vero che la fantasia e l’immaginazione dei loro architetti hanno creato molti edifici di grande bellezza e, apparentemente, assi lontani da ogni suggestione sessuale. Ma la guglia o il campanile è certamente un reliquato del culto fallico. Lee Alexander Stone va assai più lontano; egli afferma che l’edificio della chiesa è direttamente fondato sul simbolismo sessuale. Egli dice:
(( Allorché uno entra in una chiesa lo fa attraverso una doppia porta (labia maiora, grandi labbra) quindi si trova nel vestibolo (vestibulum). Per andar oltre deve passare attraverso un’altra doppia porta (labia minora, piccole labbra); allorché raggiunge l’interno (vagina) egli vede davanti a sé l’altare (utero) e ad ogni lato dell’altare si possono vedere porte che conducono ad altre stanze (tube del Falloppio), dove il candidato al battesimo viene a contatto col prete o predicatore, ed è qui che egli riceve il seme della rigenerazione; egli torna indietro all’altare ed è battezzato (liquido amniotico) e lascia la chiesa come anima rinata ».
Per quanto tutto questo possa apparire eccessivamente elaborato, non differisce molto dall’antica pratica di molte antiche e di alcune moderne religioni, di far passare i devoti attraverso aperture a forma di yoni, o fessure in lastre di pietra allo scopo di divenire fecondi, o «rinati)) o •divenir lavati dai propri peccati. E questa apertura a forma di yoni è stata riprodotta in molte finestre di forma ellittica che adornano le nostre chiese, come pure le porte, recessi e altre aperture. Persino famosi dipinti religiosi non sono sfuggiti a questa forma ellittica. Dozzine di noti dipinti della Vergine Maria e di Gesù hanno un ellisse attorno, e in molti casi uno particolarmente suggestivo. In Utrecht vi è un dipinto di Elisabetta e di Maria, dipinto attorno al 1400, che mostra Gesù e Giovanni come embrioni chiusi in piccole ellissi. Molti altri esempi possono essere trovati nei lavori della Jameson, tutti tratti da pittori classici e da vecchi maestri, che provano oltre ogni dubbio che essi riconoscevano l’ellisse come simbolo dello yoni o della “porta della vita“.
Nella abbazia di Dumblane vi è una finestra che fu considerata da Ruskiri una delle più belle d’Inghilterra; Wall ne dà una riproduzione in Sex Worship. Ma non molti dei visitatori dell’abbazia che vedono questa finestra riconosceranno il suo simbolismo che è assolutamente realistico, e che mostra uno yoni con tutte le sue parti componenti, le grandi labbra, le piccole labbra, il clitoride, il vestibolo e l’orifizio. E Payne Knight nel suo Worship of Priapus, dà le illustrazioni di altri resti fallici trovati in molte chiese cristiane.
Il pesce come simbolo fallico è già stato citato. Psicologi moderni come Freud vedono in esso un simbolo dell’organo maschile, ma esso, specialmente la testa e la bocca, è stato altresì riconosciuto come simbolo femminile.

Gesù cristo non è mai esistito

Emilio Bossi (Milesbo)
Gesù cristo non è mai esistito
Edizioni La Fiaccola, Ragusa, 1976.
La figura storica del Cristo è servita sempre come alibi per coprire le nefandezze, i crimini, le atrocità, i massacri, perpetrati dai preti in tutti i secoli.
La religione ha utilizzato il mito di Gesù, fermandosi nel descriverlo buono e saggio, per fare accettare alle plebi un messaggio di pace e di amore, in un mondo di contrasti e di lotte, per facilitare il compito di coloro che avevano interessi a tosarle e a mantenerle nella miseria.
Dopo duemila anni la scena non è di molto cambiata. Il p… vestito a festa che risponde al nome di Paolo VI, che viene portato in giro — in pieno secolo ventesimo — sulla stessa sedia su cui sedevano i grandi carnefici del passato, fondatori e sostenitori dell’Inquisizione, tende la mano benedicente ai grandi massacratori di oggi, accogliendo nelle sue paterne braccia gente come Pinochet, come Franco, come i responsabili dei regimi razzisti del Sud Africa. In questo modo l’ignobile vecchio di Roma compie ancora una volta la funzione di ogni religione:
nascondersi dietro le parole di pace e di amore, per condurre a compimento disegni di sterminio e di guerra.
Solo la cosciente responsabilizzazione degli individui e dei popoli potrà, nella rivoluzione, cancellare dalla storia, sia il mito “buono” del Crìsto, come tutti i pagliacci e i becchini, tutti i capi di governo e tutti i papi, che di quel mito hanno fatto uno scudo e un baluardo.

Dalla quarta di copertina

Da pagina 223
Con Cristo, necessariamente, dovrà scomparire anche il cristianesimo.
Coloro che confondono il cristianesimo col moralismo ci do-manderanno, anche in buona fede: ma che avverrà allora dell’umanità senza la benefica illusione di un mito ritenuto l’ideale dell’uomo, come da tanti si reputa Cristo? Sembrando loro che con Cristo scomparir debba anche la morale umana. Ci basta rispondere con questa altra domanda: forse che la umanità ebbe bisogno di Cristo per tutto il tempo precristiano? Eppure, ci furono società colte e civili anche prima; ci furono costumi ed esempi di morale che il cristianesimo non ha certo sorpassati; ci furono Stati potenti, ricchi, prosperi; ci furono filosofi, poeti, artisti, scienziati, giuristi, che ancora oggi si tolgono a modello, mentre, se vi furono istituzioni cattive e costumi inumani, essi non furono aboliti dal cristianesimo, bensì dalla filosofia, e mentre dal canto suo il cristianesimo aggravò i mali che già la filosofia non avesse distrutti aggiungendone di nuovi, come, per citarne alcuni soli, la lotta dell’anima contro il corpo e le persecuzioni dei credenti contro i non credenti.
Come prima del cristianesimo, così in avvenire non si avrà proprio alcun bisogno del mito « Cristo » per fare ciò che è nella natura umana di fare.
Cristo può, quindi, ritornare definitivamente in cielo, dal quale non avrebbe mai dovuto discendere in quella terra che il suo nome riempié di rovine e di pazzie.
Nessun rimpianto, da parte nostra, per questo idolo che se ne va. Anzi, la contentezza di un male che vien meno.
Ora a voi, pagani stoltamente calunniati e distrutti; a voi, ebre i ingiustamente odiati e conculcati; a voi, liberi pensatori d’ogni tempo, maniera e grado, atrocemente perseguitati; a voi tutti la riabilitazione della storia, della scienza e dell’umanità:
Cristo, il vostro detrattore; Cristo, il vostro persecutore, Cristo non è più!

sabato 6 dicembre 2008

Storia dell’affermazione del cristianesimo

Voltaire
Storia dell’affermazione del cristianesimo
A cura di Francesco Capriglione
Bastogi, Foggia, 1993

Molti ritengono che per conoscere Voltaire sia sufficiente sfogliare le voci del suo Dizionario filosofico e che, quindi, basti leggere la voce Cristianesimo, per conoscere le sue critiche. Eppure, egli ha dedicato a questo tema un’opera specifica, che, però, resta tra le sue grandi opere la meno nota, pur meritando di essere attentamente letta e intelletta, perché in essa convergono tematiche filosofiche e storiche unite a pratica di metodo critico e di abilità letteraria, che ne fanno un testo nodale per comprendere l’ambiente storico-culturale del Settecento illuministico e anti-illuministico.
Si tratta, quindi, di opera fondamentale, forse la meno polemica e la più criticamente illuministica di Voltaire, per cui sembra davvero strano che, a ben due secoli dalla sua prima apparizione, quest’opera non sia stata giustamente riscoperta. Quando, infatti, il suo autore muore, nel 1778, l’opera giace in tipografia e mai sarà stampata da sola né in Francia né all’estero. Bisognerà attendere il 1785, perché nel torno XXXV delle Oeuvres (edizione di Kehl) compaia per la prima volta l’Histoire de l’établissement du christianisme, ristampata, poi, nel 1796, nel tomo XXXIV dell’edizione Cramer e nel tomo XXX ( dell’edizione Renouard del terzo decennio del secolo XIX. Da quel momento nessun’altra edizione da nessuna parte. Eppure, è un’opera scritta con estrema fluidità ed accessibilità, che costringe, tuttavia, ad interrogativi radicali sulle origini contraddittorie della religione, della bibbia e del cristianesimo.
Dalla quarta di copertina

POVERA SANTA. POVERO ASSASSINO. La vera storia di Maria Goretti

Giordano Bruno GUERRI
POVERA SANTA. POVERO ASSASSINO. La vera storia di Maria Goretti

Oscar Mondadori, Milano, 1993

Giovanni Paolo Il ha istituito una Commissione di Studio per rispondere a questo libro. L’ autore ribatte alle decine di “errori” che gli vengono contestati e ribadisce” i falsi di un processo canonico e i veri motivi che convinsero la Chiesa a inventare una santità”.
Dalla quarta di copertina:
A oltre otto anni dalla precedente edizione, che suscitò tanto clamore, la prima e unica biografia laica di santa Maria Goretti torna in libreria. Questa edizione, oltre a riproporre identico un testo il cui valore appare inalterato, è corredata di un’appendice nella quale Giordano Bruno Guerri replica punto per punto alle accuse mosse dalla Commissione di Studio vaticana istituita per confutarne le tesi. Inoltre, la nuova introduzione spiega perché il libro provocò l’inusuale e clamorosa reazione del Vaticano, valuta l’atteggiamento della società italiana in una situazione di “conflitto della Chiesa” e analizza l’attuale “politica dei santi” di Giovanni Paolo Il.

Da pagina XXII e XXIII:
La violenza psicologica operata sulle bambine e le adolescenti. che, suggestionate dal clamore suscitato dalla canonizzazione e dall’educazione ecclesiastica, si fecero ammazzare dicendo di voler fare “come Maria Goretti”.

In conclusione, la Chiesa è libera di fare santo chi vuole, con il metodo che preferisce, ma lasci ai non credenti la libertà di analizzare modi e finalità, che sono entrambi molto terreni e discutibili. E i miei settantanove errori presunti non mutano di una virgola la sostanza di Povera santa, povero assassino. Come — mi si perdoni lo spropositato paragone — i quattromila errori attribuiti dai gesuiti a Erasmo non sminuiscono la grandezza dell’Elogio della Pazzia. E i trecentosessantadue errori trovati dal cardinale Sforza Pallavicino nella Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi non tolgono niente alla verità di quell’opera, mentre l’analogo libro del cardinale rimane nella storia soltanto come un esempio di intolleranza ecclesiastica.


Qualche considerazione sugli intellettuali italiani

Come ho detto, i giornali del 1985-1986 si occuparono molto del caso. Gli opinionisti cattolici erano saldamente schierati in difesa della Chiesa, in un modo veramente esagitato; basterà ricordare un articolo di Giampaolo Cresci su «Prospettive nel mondo» del 7 febbraio 1985, secondo il quale “si tenta di colpire con ogni mezzo la devozione popolare, il senso del sacro nella vita con un lavaggio del cervello in grande stile. E un’operazione degna di manipolatori nazisti o sovietica dei mass-media”.
Gli intellettuali laici invece scrissero articoli anche molto brillanti, ma pochissimi presero parte (ricordo con particolare gratitudine Luigi Firpo, Ida Magli, Federico Zeri). Fu malamente esemplare soprattutto il parere di Francesco Alberoni, il quale sostenne che, se avevo indagato su Maria Goretti, evidentemente avevo un personale problema di fede, e che la faccenda non riguardava la società italiana. Lo stesso fece, più o meno, Giuliana Dal Pozzo sull’”Unità» (9 febbraio 1985), affermando che i laici non si devono occupare di santi. Tesi stravaganti, visto che la Chiesa cattolica ha sempre fatto del culto dei santi uno strumento privilegiato per attirare la devozione popolare e quindi condizionare il comportamento dell’intera società. Quasi nessuno capì — o finse di non capire — che i veri problemi sollevati dal libro non erano se Maria aveva davvero resistito all’assassino e se fosse o no santa.
Pochissimi articoli rinunciavano a citare il proverbio, per l’occasione preso molto sul serio, “scherza coi fanti e lascia stare i santi” Perché lasciare in pace i santi? Perché non discuterli, se rappresentano i modelli che di volta in volta la Chiesa ci suggerisce? Quasi tutti tendevano a “non immischiarsi” e a lasciare in pace, oltre che i santi, anche i “fanti” della Chiesa. Mi sembrò curioso in un popolo abituato a prendere parte in qualsiasi discussione, schierandosi con passione. Fu la molla che mi spinse a iniziare le ricerche per il mio successivo studio Gli italiani sotto la Chiesa — Da San Pietro a Mussolini (Mondadori 1992), dove ho cercato di ricostruire i condizionamenti e le sudditanze nate in quasi due millenni di predominio ecclesiastico.
Il“caso Maria Goretti” fu appunto molto interessante e significativo per osservare l’atteggiamento degli intellettuali italiani in una situazione di conflitto con la Chiesa. Non voglio essere così maligno e volgare da insistere troppo sul fatto che. mettersi contro la Chiesa — quindi contro i suoi credenti — è parecchio scomodo, come ben sa chi ci prova: i cattolici sono presenti ovunque, e a irritarli si rischia, quando meno te lo aspetti, di perdere il concorso universitario, la collaborazione al giornale. Di certo si hanno meno recensioni, si vendono meno libri, avendo fama di anticlericale (definizione che, per me, rifiuto, tanto si è riusciti a darle un significato di piccineria fanatica).
Voglio credere, piuttosto, che a guidare la prudenza di tanti intellettuali laici nelle polemiche contro la Chiesa sia l’ancestrale condizionamento socioculturale di rispetto alla religione, particolarmente forte, per ovvi motivi, in Italia.
(…)

Dio cavalca un cherubino. Le incredibili stravaganze della Bibbia.

Zorobabele
Dio cavalca un cherubino. Le incredibili stravaganze della Bibbia.
Baldini e Castaldi, Milano, 1994
Dall'introduzione:
Gli antichi ebrei vedevano continuamente Dio, persino mentre « cavalcava un cherubino » (Salmo 18,11) e raccontavano le sue imprese in modo grossolano e mortalmente noioso in un insieme di libri poi chiamati Bibbia. Sarà per questo che, dopo, Dio non è più apparso.
La Bibbia ha avuto comunque successo diventando il Testo Sacro dei cattolici, dei protestanti e degli ortodossi, oltre che degli ebrei. Ma la Chiesa cattolica (quella che, non a caso, si è diffusa di più) non ha mai incoraggiato i fedeli alla lettura diretta della Bibbia e nel Concilio di Tolosa, del 1229, l’ha addirittura proibita.
Il primo motivo di questo comportamento, apparentemente strano, è che solo la mediazione del clero garantisce alla Chiesa il ruolo che si è attribuita di interprete fra l’uomo e la divinità. Ancora oggi, la posizione ufficiale della Chiesa, espressa solennemente nel Concilio Vaticano II (Roma 1962-65), è questa: «Compete ai Sacri Presuli, depositari della dottrina apostolica, amministrare opportunamente i fedeli loro affidati al retto uso dei libri divini». Ovvero: l’uomo — anche l’uomo contemporaneo, noi — non può capire la Bibbia se non gli viene spiegata dal papa, dai concili, dai vescovi.
Il secondo buon motivo per cui la Chiesa cattolica scoraggia la lettura diretta e integrale della Bibbia è che il libro contiene tante e tali assurdità e violenze esplicitamente volute da Dio da disorientare e confondere anche il più pio dei fedeli.
(…)
Non staremo a chiederci come mai un Dio bizzarro abbia scelto una strada così complicata (Spirito Santo — popolo di pastori — morte del proprio figlio — interpretazione della Chiesa), per comunicarci il suo pensiero in un libro di oltre 2000 fittissime pagine in gran parte inutili. Farlo significherebbe cadere in pieno nella trappola tesa all’uopo dalla Chiesa, ovvero che la Bibbia può essere capita solo «con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta», il che equivale a dire che solo l’autore può valutare la propria opera, e il lettore stia zitto e buono.
Naturalmente nessun uomo che abbia rispetto della propria intelligenza ha mai accettato questo assurdo e c’è sempre stato chi ha contestato le «verità» della Bibbia, a costo di subire persecuzioni e punizioni mortali. A partire soprattutto dal Settecento — e poi con la storiografia, filologia, archeologia moderne — numerosissimi studi hanno abbondantemente dimostrato che l’Antico Testamento è in realtà il prodotto della superstizione e dell’ignoranza di uomini vissuti 2800-2200 anni fa che hanno accumulato leggende, paure e migliaia di errori scientifico-storici nonché altrettante contraddizioni. L’Antico Testamento è uno zibaldone di religiosità primitiva mischiata a favole indiane e persiane, imitazioni di usanze egiziane, cronache improbabili quanto ininteressanti delle vicende matrimoniali-guerresche di sperdute tribù palestinesi, poesie e saggezze tragicamente, comicamente umane.
(…)
La Chiesa cattolica dunque non ha dovuto faticare nello scoraggiare i fedeli dal leggere la Bibbia per intero — l’opera si sconsiglia da sé — e ha avuto buon gioco nel dispensare il suo testo sacro in pillole, suggerendo ai fedeli solo certi passaggi e spiegando il resto con la necessità dell’interpretazione di testi «letterari» e «allegorici». In realtà non si tratta di allegorie ma di testi scritti in tempi crudeli, con profonda ignoranza e fanatismo: leggerli senza chiose dà l’esatta misura di quanto siano grotteschi e ripugnanti molti episodi e concetti della Bibbia per giustificare i quali sono stati scritti milioni di chiose, migliaia di volumi.

IL PAPA E IL DIAVOLO

Vittorio Gorresio
IL PAPA E IL DIAVOLO
Rizzoli, Milano, 1973

È’ la storia politico-religiosa del papato di Paolo VI, centrata sul tentativo dell’attuale Pontefice di stabilire un dialogo fra la Chiesa cattolica e il mondo moderno. Ispirato a un’esigenza che era già stata sentita da Giovanni XXIII, il Papa della nuova missione, il tentativo fallisce tra le incertezze e le contraddizioni di Papa Montini che con il progressivo smantellamento dell’opera del Concilio ecumenico Vaticano Il di enciclica in enciclica ha dato luogo ad una nuova controriforma deludendo le speranze, anche quelle ecumeniche, di tanta parte del mondo cattolico e laico di oggi. Rivelatori di un grave attardamento teologico sono stati i due discorsi di Paolo VI sull’esistenza fisica del diavolo, il 29 giugno e il 15 novembre 1972: difficile, su questo piano, andare incontro a un dialogo con il mondo della cultura moderna. In alternativa, Paolo VI si prova ad avvicinare il cosiddetto Terzo Mondo nel desiderio di farsene l’interprete presso i potenti della terra:
di qui la lunga impresa dei suoi viaggi intercontinentali, tuttavia spesso mal preparati e quasi tutti mal compresi. Il dramma di Papa Montini è di parlare un linguaggio fuori del nostro tempo, in contrasto involontario con la innegabile sincerità dei suoi slanci pastorali, onde si allarga e si approfondisce la crisi della Chiesa cattolica.
Dal risvolto di copertina

Partendo da lontano e girando alla larga come sogliono i Papi che parlano ai popoli per encicliche (dal greco enkyklios, circolare), nella sua Humnanae vitae sulla “regolazione della natalità” arrivato al 140 paragrafo, 35 capoverso, Paolo VI diceva finalmente un primo chiaro no; contro il coitus interruptus: « Dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato ».
Segue un secondo no all’aborto terapeutico, un terzo contro la sterilizzazione, un quarto contro le pratiche anticoncezionali in genere, intese come « azioni che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si propongono, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione ».
Le quattro negazioni trovano il loro fondamento nel Catechismus romanus del concilio di Trento (p. Il, c. VIII), nella Casti connubii di Pio XI (31 dicembre 1930), in due documenti di Pio XII del 1951 e del 1958 (cfr. rispettivamente, gli Acta apostolicae sedis n. 43 p. 843, e n. 50 p. 734) e ad abundantiam nella Mater et magistra di Giovanni XXIII (15 maggio 1961). Non è a dire con questo che dal Trento 1563 siano trascorsi invano quattro secoli: di nuovo, infatti, nella Humanae vitae si trova l’insistenza sul concetto che bisogna rimettersi ai cosiddetti ritmi naturali studiati e calcolati dai dottori Ogino e Knaus.
Paragrafo 11 dell’enciclica: « Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite». Paragrafo 16: « La Chiesa insegna essere lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere i principi morali ». Paragrafo 24: « È in particolare auspicabile che, secondo l’augurio formulato da Pio XII (cfr. Acta apostolicae sedis 1951, n. 43, p. 859) la scienza medica riesca a dare una base sufficientemente sicura a una regolazione delle nascite fondata sull’osservanza dei ritmi naturali ».
Immaginandosi, comunque, che il calcolo OginoKnaus possa rivelarsi non infallibile, Paolo VI suggeriva il solo rimedio risolutivo esistente — la continenza e la castità — invitando nel paragrafo 22 tutte le persone oneste e responsabili a « creare un clima favorevole all’educazione della castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza ». A questo punto, occorre dire, egli scivolava un pò’ verso una confusione tra cose incomparabili, il rapporto sessuale e oscenità: « Tutto ciò che nei moderni mezzi di comunicazione sociale porta alle eccitazioni dei sensi, alla sfrenatezza dei costumi, come pure ogni forma di pornografia o di spettacoli licenziosi, deve suscitare la franca e unanime reazione di tutte le persone sollecite del progresso della civiltà».
Di più, al paragrafo 17, egli scendeva ad un’affermazione che suona grave per le donne, giudicate esseri inferiori da una retriva tradizione purtroppo diffusa in certo clero: « Si può anche temere che l’uomo abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna rispettata e amata ». Chi sa chi aveva potuto insinuare nell’enciclica il concetto che la donna che non partorisca è come una sgualdrina; che Dio perdoni questo sconosciuto sconsigliato.


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