giovedì 11 dicembre 2008

E Dio Creò la Donna. Chiesa, religione e condizioni femminile

Roberta Fossati
E Dio Creò la Donna. Chiesa, religione e condizioni femminile
Mazzotta, Milano, 1977

Dalla Controriforma ai giorni nostri la Chiesa cattolica è intervenuta pesantemente nella vita delle donne italiane, nella sfera sociale ome in quella del loro «privato». E assai difficile stabilire quali relazioni esistano tra i condizionamenti al ruolo femminile sorti in età borghese e quelli ereditati da una precedente tradizione religiosa e mutuati dal capitalismo.
Per cercare di chiarire questi problemi, l’autrice indaga la funzione e le forme specifiche della ideologia cattolica sugli aspetti fondamentali della vita quotidiana e della collocazione nel sociale delle donne.
In collegamento con le ricerche svolte da gruppi di donne facenti parte delle comunità cristiane di base e dei «cristiani per il socialismo» e militanti contemporaneamente nei movimenti femministi, si tenta inoltre una sorta di riappropriazione culturale dei testi biblici, per sottrarli alla lettura e all’interpretazione che da almeno duemila anni ne vanno facendo i maschi, soprattutto celibi.

Sommario:
Introduzione — La famiglia cristiana — Eva: la donna e la coppia — Sessualità e tradizione religiosa — Maternità e sofferenza — La questione dell’aborto
— I modelli religiosi femminili — Riflessioni finali — Bibliografia per argomenti.

Dalla quarta di copertina



Da pagina 96-97

I discorsi alle ostetriche di Pio XII (1951 e 1956)

Nel dopoguerra italiano, in un momento in cui la ricerca scientifica sembrava avviarsi a liberare la donna dal parto doloroso, la Chiesa intervenne esplicitamente: Pio XII in due famosi discorsi, uno del 1951 rivolto alle ostetriche e uno del 1956 rivolto a ginecologi e docenti di ostetricia, ribadì il no cattolico alle ricerche e alle sperimentazioni del parto in anestesia. Il papa approvava la ricerca sul parto psicoprofilattico, pur con l’avvertimento che:

“messo di fronte alla scoperta scientifica del parto senza dolore, il cristiano si guarda bene dall’ammirarla senza riserva o dall’utilizzarla con premura esagerata.”
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Teniamo presente che questi discorsi venivano rivolti al personale medico e paramedico degli ospedali italiani, molto spesso strettamente legati al mondo ecclesiastico; possiamo pensare come l’influenza combinata degli assistenti religiosi inseriti nella struttura sanitaria e di ginecologi e ostetriche di estrazione cattolica abbia influito sull’esperienza di maternità delle donne che hanno partorito in tutti questi anni. Il papa, nei suoi discorsi, sembra molto conscio di tutto ciò: egli accenna spesso, infatti, alle confidenze che le ostetriche raccolgono, dalle giovani spose e dalle giovani madri, e ai consigli di cui esse sono richieste.
Chi condannasse l’uomo a subire dolorose operazioni senza anestesia sarebbe accusato di crudeltà; affermare che la donna non deve sottrarsi alla sofferenza del parto non pare che abbia suscitato particolare sdegno Pubblico. La misoginia che spinge un papa, in accordo con la tradizione, a usare della Bibbia per giustificare la realtà ormai ovvia, ormai «naturale» della maternità dolorosa non è infatti maggiore del generalizzato sadismo sociale che rende di fatto, ancor oggi, per la donna, l’esperienza della procreazione un’esperienza in moltissimi casi di dolore, facendogliela vivere in condizioni pressochè intollerabili.
La motivazione biblica rinforza la cattiva coscienza di una società che non fa nulla per sottrarre al dolore la donna, che ne vede anzi nella maternità sofferente la condizione stessa di purificazione da una colpevolezza originaria dovuta al suo sesso, poiche

«non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione».

Per questo:

«Anche i dolori che, dopo la colpa originale, la madre deve soffrite per dare alla luce il suo bambino, non fanno che stringere maggiormente il vincolo che li unisce; ella lo ama tanto più quanto più le è costato dolore. Ciò che ha eSpreSso con commovente semplicità Colui che ha plasmato il cuore delle madri (Giov. 16, 21).»

Si ama quindi l’oggetto che procura dolore più che l’oggetto che procura piacere; dove amare e essere dominati sembrano identificarsi; la sofferenza stessa sembra il mezzo indispensabile perché la femmina anche nel momento del parto si ricordi della dominazione cui è sottoposta e la riproduca nel rapporto con i figli fin dalla loro nascita.


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